LIFESTYLENADIA

VI RACCONTO UN PO’ DI ME: UN DOLORE IMMENSO – 01.12.2016

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Quando ho creato questo nuovo blog, mi sono ripromessa di esternare tutte le emozioni, i pensieri positivi e negativi, che mi hanno portato ad essere quella che sono oggi.

In questo articolo voglio raccontarvi un periodo della mia vita che ho tenuto dentro di me. Un periodo che mi ha segnato profondamente e mi ha cambiato radicalmente, sia fisicamente che mentalmente.

Vi avevo già detto nel mio precedente articolo (leggi: INIZIO A RACCONTARMI: OGNUNO COMBATTE I PROPRI DEMONI. ), che mi sarei posta senza veli, accettando anche le critiche ed i giudizi da parte dei leoni da tastiera. 

Ormai tutto mi scivola, nulla mi colpisce e mi ferisce. 

Ho provato il vero dolore, la vera sofferenza. Mi sono vestita delle mie più resistenti corazze. 

Ho scelto di rendervi parte del mio percorso di “reverse”.

Io ho scelto di aprire la mia oscura casa, i meandri più bui della mia anima. 

Devo combattere i miei mostri, i miei demoni. Devo affrontare le mie paure, le mie insicurezze.

Sto cercando di curarmi le ferite e di sanarle, ma dobbiamo tornare però indietro nel tempo, un passo alla volta.

Un nuovo inizio.

Era il 19 novembre 2011, quando per la prima volta ho conosciuto il mio attuale compagno. Ho vissuto una storia a distanza per 5 anni tra Cantù e Verona.

E’ stato un periodo molto bello ma nello stesso molto stressante, considerato che vivevamo in due città diverse, distanti tra loro 180 km.

Ricordo ancora quando per vederci, dopo il lavoro, a settimane alterne, percorrevamo l’autostrada A4, io in direzione Milano, mentre lui in direzione Venezia e ci facevamo le nostre due orette di guida in macchina per poter trascorrere i week-end assieme.

All’inizio, non avendo mai vissuto una relazione a distanza, mi ricordo con quanta euforia e felicità mi dirigevo a Cantù. Con il tempo tra alti e bassi, quei km sono diventati sempre più pesanti da percorrere.

Scelte difficili.

Purtroppo avendo un lavoro a tempo indeterminato ed una vita ben radicata, ognuno nella propria città, fu difficile per entrambi decidere chi dei due avrebbe dovuto rinunciare alla propria vita quotidiana e ai propri affetti, per raggiungere l’altro e convivere.

Io all’epoca vivevo da sola, come d’altronde lui e, avevo acquistato da molti anni casa, non molto distante da quella dei miei genitori.

Entrambi eravamo due persone molto indipendenti.

Questo fu in realtà il motivo principale che per anni ci fece posticipare la scelta della convivenza.

Ci furono dei brevi momenti in cui ci allontanammo, per poi ritrovarci e nuovamente ricercarci. Era come se nonostante la distanza e le difficoltà, il sentimento tra noi, fosse più forte di tutto il resto.

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La svolta.

Nel maggio 2016, dopo aver nuovamente trattato l’argomento su chi dei due avrebbe dovuto fare il primo passo per seguire l’altro, giungemmo alla conclusione che avrei dovuto lasciare il mio lavoro e vendere la mia casa per trasferirmi da lui.

Fu allora che decidemmo di avere un figlio.

Dopo appena un mese, nel giugno 2016, scoprii di essere rimasta incinta.

La gioia che provammo in quel momento fu indescrivibile.

Volevamo avere la nostra famiglia assieme ed eravamo intenzionati a cambiare vita.

Dopo il primo trimestre di gravidanza, comunicammo la lieta novella a tutti, compresi genitori, fratelli e sorelle. Tutti ne furono sorpresi e molto felici.

Ricordo ancora quella volta che lo dissi ai miei genitori. Mio padre era al 7° cielo e non vedeva l’ora di poter diventare nonno, idem mia mamma.

Per me era un sogno che si stava avverando e non mi sembrava vero.

I mesi successivi, lo comunicai a lavoro.

Lavorando nell’ufficio del magazzino di un’acciaieria e avendo alcuni problemi di salute tra cui: asma allergica ed ernie discali (dovute a vecchi incidenti autostradali), la mia ginecologa mi fece fare la domanda per la gravidanza a rischio.

In quel periodo, comunicai a lavoro il mio nuovo domicilio e per qualche mese mi trasferii a Cantù, a casa del mio ragazzo.

Ne approfittammo per vedere delle case in vendita, da poter acquistare prima di un eventuale trasferimento.

Ne vedemmo parecchie, eppure nessuna ci faceva battere il cuore. Nessuna ci colpì particolarmente.

Una nuova casa.

Un po’ demoralizzati, decidemmo di guardare per curiosità le case nella provincia di Verona e fu allora che la nostra attenzione cadde su una villetta bifamiliare con giardino ad angolo ed un immenso campo agricolo di 3.000 mq nel retro della casa.

Incuriositi fissammo l’appuntamento con l’agenzia immobiliare ed il sabato successivo, ci dirigemmo verso il luogo prestabilito.

Appena arrivati davanti alla casa, ne fummo colpiti. La casa era davvero molto grande, solo che il budget in ns. possesso era piuttosto ridotto.

Ciò nonostante tentammo un po’ la fortuna e rischiammo. Proponemmo al proprietario un prezzo inferiore. Andai con mia mamma in agenzia e feci la mia offerta e lasciai una piccola caparra, pur sapendo che sarebbe stata rifiutata.

Il destino mescolò nuovamente le carte e ci ritrovammo a dover invertire il “senso di marcia”. Prendemmo in considerazione in quel momento di rimanere a Verona e che a trasferirsi sarebbe stato il mio ragazzo e non più io, come invece avevamo deciso all’inizio.

Ci sembrò così assurdo di poter comprare quella casa che pensammo solo al nostro futuro assieme e alla famiglia che di lì a qualche mese si sarebbe formata.

Con nostra immensa sorpresa, fui contattata dall’agente immobiliare dopo qualche giorno, che mi confermò l’accettazione dell’offerta da parte del proprietario.

In seguito scoprii che il proprietario da ben 6 anni provava a venderla, ma ad un prezzo decisamente alto. Il caso voglia, che stufo di dover rifiutare le continue offerte, decise di accettare la nostra.

Fu così, che ci trovammo ad acquistare la casa dei nostri sogni.

In quell’istante però dovemmo riorganizzare di nuovo la nostra vita.

Io tornai a Verona e cominciai a preparare i pacchi per il trasloco e, lo stesso fece il mio ragazzo.

Prima però, prenotammo l’ecografia morfologica a Milano, incuriositi dal conoscere quanto prima il sesso del nostro bambino.

In quell’occasione scoprimmo che era un maschietto.

Durante l’ecografia si mostrò in tutto il suo splendore: aveva un visino davvero splendido. Si vedevano benissimo dall’ecografo, il nasino e le labbra minute. Aveva dei lineamenti stupendi. Mi ci innamorai dal primo secondo che lo vidi nel monitor.

Nelle settimane successive acquistai l’angel sound, che è un apparecchio che rileva il battito cardiaco fetale.

Iniziai a sentire più volte il suo battito durante il giorno. Era diventata una dolce abitudine.

A Verona, nel mentre che preparavo i pacchi per il trasloco imminente, iniziai ad acquistare moltissimi abitini da neonato,  scarpine, accessori e molto altro per bambini.

Complicazioni.

Ad inizio novembre però, dopo poco che ebbi fatto la morfologica, dove tutto era risultato perfetto ed il bambino sanissimo. Iniziai a svegliarmi con i piedi e le mani gonfie.

Lo feci presente immediatamente alla ginecologa che mi seguiva in quel periodo e, lei mi disse solamente di stare attenta ai carboidrati.

Ero ingrassata parecchio in quegli ultimi mesi. Dal mio peso di partenza di 63 kg avevo raggiunto i 70 kg in pochi mesi. Ero letteralmente “lievitata”.

Eppure, secondo la ginecologa di Milano e quella di Verona, il bambino stava benissimo.

Dopo appena due settimane dalla morfologica, mi svegliai un giorno con i piedi gonfissimi e presa dal panico, chiamai i miei genitori.

Andai una prima volta al pronto soccorso ostetrico. Mi monitorarono e mi lasciarono tornare a casa dicendomi semplicemente, che ero leggermente in sovrappeso e che dovevo limitare i carboidrati.

Non ricevetti alcuna cura, semplicemente mi venne consigliato di assumere meno carboidrati e di fare qualche passeggiata in più.

Il 19 novembre, dopo essermi svegliata nuovamente con forti mal di testa iniziai a monitorare anche la pressione, che risultò essere piuttosto ballerina, oscillava da 120, 135, a tratti 150.

Fu allora che decidemmo di andare nuovamente in pronto soccorso.

Lì, questa volta, a distanza di una settimana dal primo controllo in ospedale, decisero di ricoverarmi per monitorare la pressione.

La dottoressa che mi fece ricoverare mi prescrisse un farmaco, il Trandate, per la pressione.

Il 29 novembre, intanto, l’agenzia immobiliare fissò la data del rogito per l’acquisto della casa.

Io ero in ospedale da circa 10 giorni.

Fu in quel periodo che conobbi una giovane mamma, che era la mia compagna di camera, anche lei aspettava un bambino maschio. Era il suo secondo figlio. Prima aveva avuto una bellissima bambina, che ebbi poi in seguito il piacere di conoscere, durante la mia permanenza in ospedale.

Quel giorno chiesi di poter firmare l’uscita per dirigermi dal Notaio per il rogito, con l’impegno che sarei ritornata la sera e sarei stata nuovamente ricoverata in reparto.

Intanto, continuai anche una volta uscita ad assumere il farmaco che mi era stato prescritto in quell’occasione.

Mia mamma all’epoca, quando venne a conoscenza della dose di Trandate, che mi fu prescritta, rimase scioccata perché, secondo lei, per una donna in gravidanza, quella dose era eccessiva.

D’altronde, non potevamo di certo mettere in discussione la cura prescritta da una dottoressa!

Firmammo dal Notaio il rogito ed acquistammo finalmente la casa, con tanta felicità nel cuore. La sera ritornai in ospedale. Mi misero questa volta assieme ad altre due donne in un’altra stanza.

In 10 giorni, nonostante la mia permanenza in ospedale, sia i piedi che le mani erano sempre gonfi. La pressione si era leggermente stabilizzata, anche se era sempre piuttosto alta, sui 120 / 130.

Il giorno dopo, il 30 novembre feci vari esami e non risultò nulla di preoccupante. Il bambino ed io, a sentire loro, stavamo bene. Io stavo bene.

Ero sempre ricoverata nel reparto di ostetricia e ginecologia.

Quella sera, poco prima di andare a letto, come tutte le sere, passarono le ostetriche per sentire il battito e per consegnarci le medicine da prendere.

Dopo aver preso la medicina, andai in bagno, tornando sentii un forte dolore.

Lo dissi immediatamente all’ostetrica di turno, che mi fece sdraiare, mi toccò la pancia e mi rassicurò dicendomi che il bambino si era solamente girato.  Mi ricordo che scherzammo anche sul fatto che io il bambino non lo sentissi mai e che dovevo essere grata e felice di averlo finalmente sentito!

Mi addormentai tranquilla, senza pensieri.

Non avrei mai pensato che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrei percepito la sua presenza dentro di me.

Durante quella notte nessuno venne a misurarmi la pressione.

1 Dicembre 2016

Fui svegliata l’indomani alle 6 dall’ostetrica che venne a misurare la pressione e la temperatura corporea. Tutto era nella norma.

Ormai era diventata una routine a cui mi ero abituata.

Dopo le consuete misurazioni, venne il momento di sentire il battito.

Appoggiò l’apparecchio sulla pancia, dopodiché la vidi dirigersi, verso la porta d’entrata della camera. Rientrò dopo pochi minuti con  l’ecografo.

Le chiesi spesso se fosse tutto ok e mi rispose di restare tranquilla.

Dopo poco entrò un’altra dottoressa e mi disse di seguirla.

Mi portò in una camera, lungo il corridoio del reparto. Quando aprì la porta vi trovai alcuni studenti di medicina. Lei, mi fece sdraiare sul lettino. Mi soffermai a guardare i volti di quelle persone che mi guardavano con occhi compassionevoli. Mi sentii molto a disagio ma non pronunciai alcuna parola.

Mi visitò e mi disse: “Mi dispiace signora, ma non c’è più il battito”.

In quel momento il mio peggior incubo divenne realtà. Mi confermò quello che avevo già intuito dai loro sguardi.

Non riuscivo a capacitarmi. Di lì a pochi mesi, esattamente 2 giorni dopo la firma del rogito e dopo aver acquistato casa, il mio bambino smise di vivere ed io morii con lui.

E’ difficile spiegare cosa si prova in quei momenti, è come se nulla fosse reale, come se ciò che ti viene detto dagli altri non ti riguardasse minimamente.

Mi ripetevo tra me e me che non poteva essere vero, era solo un bruttissimo incubo.

Fino a quel giorno il mio bambino stava bene ed era impossibile che il suo cuore avesse smesso di battere così improvvisamente. Non me ne capacitavo.

Pensai di aver fatto qualcosa di sbagliato e che fossi stata punita.

Dopo la visita mi riportarono in camera. Le altre mamme furono spostate ed io mi ritrovai completamente da sola. Mi collegarono ad una macchina ed iniziarono a monitorarmi costantemente.

In tutti questi anni mi sono chiesta come mai non l’avessero fatto prima.

Piansi a singhiozzi, non tanto, per tutto ciò che avevo creduto ma perché mi sentivo in colpa per non averlo protetto. Mi sentii così inutile. Fu così frustrante.

Dovetti avvisare il mio compagno e i miei genitori. Mi sembrava tutto così surreale. Vivevo quei momenti come se fossi sdoppiata, come se non stesse succedendo proprio a me, ma a qualcun’altra ed io la stessi osservando inerme.

Chiamai i miei genitori. Non sapevo neppure come dirlo al mio compagno. Ero distrutta. Lui era a lavoro in quel momento ed era distante da me ben  2 ore. Sapevo che se glielo avessi detto al telefono si sarebbe precipitato da me sconvolto e l’idea di saperlo in viaggio in quelle condizioni, mi preoccupò. Gli dissi semplicemente che doveva raggiungermi, senza entrare nei dettagli.

Lui mi chiese insistentemente se fosse successo qualcosa e dovetti essere così forte in quell’occasione, da non far trapelare nessuna emozione.

Quando lui arrivò in ospedale, con le lacrime agli occhi glielo dissi. Riuscii a percepire tutto il suo dolore. Non solo i miei sogni furono distrutti, ma anche i suoi.

Furono momenti davvero difficili.

Mi indussero al parto, dapprima con un ciclo di ben 8 ovuli vaginali, che avrebbero dovuto stimolare le contrazioni uterine e favorire la dilatazione della cervice, consentendo in questo modo l’espulsione del feto.

Dopodiché mi fu iniettata per via endovenosa l’ossitocina, successivamente terapia con le prostaglandine.

Ho sofferto davvero molto, perché il mio corpo non era pronto a partorire a 25 settimane.

Il mio utero era ben chiuso e sarei partorita a termine (16 marzo 2017), se non fosse morto il mio bambino.

In quei giorni la mia stanza era un viavai di medici, specialisti e infermieri.

Non riuscendo a partorire velocemente, la loro paura era, che si formasse un’infezione e che ci fossero delle complicazioni anche per la mia vita.

Mi dissero che se non fossi partorita con parto naturale, avrebbero dovuto farmi un cesareo urgente, ma in quel caso, non avrei potuto più avere bambini.

Pregai Dio che mi desse un’altra opportunità.

Parto naturale.

Ebbi la febbre a 40 ed iniziai a delirare. Dopo 4 giorni di sofferenze allucinanti, con il mio bimbo ancora dentro di me morto, l’utero iniziò a dilatarsi finalmente e mi portarono in sala parto.

Lì, mi venne fatta l’epidurale, ma trascorsero molte ore prima di poter partorire. Il dolore era lancinante. Mi sentii svenire molte volte. Infine venne l’ostetrica e mi ruppe le membrane. Dopo poco partorii. Era il 4 dicembre 2016 alle ore 15.05, alla 25 settimana +0, al 6° mese di gravidanza.

La sensazione di dolore fisico provato, non si poté neppure minimamente paragonare a quello emotivo.

Dopo aver partorito, chiesi di poterlo tenere tra le braccia.

Essendo morto da 4 giorni il suo viso era tumefatto, il suo corpicino così fragile ed indifeso, giaceva rannicchiato su se stesso.

Quando lo presi scoppiai a piangere. Gli sfiorai la pelle così delicata. Le manine ed i piedini così piccini.

Era un bambino stupendo già completamente formato e sano.

In quel momento calò dentro di me un profondo buio. Lui era la luce per me. Avevo riposto in lui tutti i miei sogni, i miei desideri, la speranza e tutto il mio infinito amore.

Avrei dato la mia vita per lui, per proteggerlo, ma non ci sono riuscita.

Rimasi in ospedale 2 settimane, mi fecero continui esami, ma non venne fuori nulla. Ero perfettamente in salute.

Fui ricoverata all’inizio per possibile preeclampsia o più comunemente conosciuta come gestosi, ma le proteinurie non vennero mai fuori se non dopo il parto e ben 4 giorni di sofferenza e febbre alta.

Immenso dolore.

La cosa più straziante fu sentire piangere i bambini appena nati, ad ogni ora del giorno e della notte nelle varie stanze, mentre nella mia vi era solo tanto buio e silenzio.

Fu un calvario che mi consumò dentro lentamente.

Ogni minuto passato sembrò eterno tra quelle quattro mura.

Quanto avrei dovuto essere forte?

Quando uscii dall’ospedale, dovetti organizzare il funerale e la successiva cremazione. Sbrigare tutte le pratiche amministrative e burocratiche, tra cui andare in comune per dichiarare la nascita e la morte del bambino, fargli il codice fiscale, dopodiché chiuderlo.

Non ero lucida, mi sentivo esanime.

Non finì qui. Dovemmo organizzare due traslochi e gestire il vecchio padrone di casa che con comodità e totale menefreghismo rimandava la sua uscita dalla nostra futura casa.

Per accelerare la nostra entrata in casa, visto le imminenti feste di Natale, dovemmo aiutarlo a sloggiare.

Entrammo in fretta e furia in casa, cercando di risolvere tutti i problemi in vista della stagione invernale.

Non ci fu nulla da festeggiare quell’anno.

Nanà

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Nadia Coppola nasce nel Giugno 1981 a Napoli, all'età di 8 anni si trasferisce a Verona. Appassionata di Moda, Cucina, Beauty e Travel apre il suo primo Blog di Cucina nel Gennaio del 2013. Nell'Aprile 2021 prende vita "Nadia Coppola", il blog che diventerà l'unico punto fermo dove racchiuderà tutte le sue passioni.

4 pensieri riguardo “VI RACCONTO UN PO’ DI ME: UN DOLORE IMMENSO – 01.12.2016

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